La relazione del segretario nazionale del Pri, Francesco Nucara, per il 46° Congresso Soggetti alla ragione e servi di nessuno "Soggetti alla ragione e servi di nessuno", Etienne De La Boétie ("Discorso sulla servitù volontaria" - dalla Postfazione di Giulio Giorello al "Saggio sulla libertà L'intervento del Segretario del PRI all'ultimo congresso del marzo 2007 iniziava così: "A metà giugno del 2006 Giorgio La Malfa, con un ragionamento politico che il segretario non condivideva, ha deciso di dimettersi da Presidente del Partito. Orbene, per storia, per statuto, per prassi consolidata, il Presidente del Partito non è mai entrato in rotta di collisione con il Segretario per fatti politici (aggiungo oggi a mio avviso strumentali). Se talvolta è avvenuto (Visentini), il risultato è stato un impoverimento del PRI, sia sul piano politico che sulla qualità del gruppo dirigente." Come ho scritto sulla "Voce", un sodalizio politico durato più di quarant'anni "ha rischiato di lacerarsi", e proprio perché non volevo che questo avvenisse, chiesi più volte a Giorgio La Malfa di recedere da questa sua decisione. E a nulla è valso l'appello della Direzione Nazionale e gli interventi di tanti amici nel Consiglio Nazionale, che concluse i suoi lavori con la presa d'atto delle dimissioni del Presidente. E così concludevo nella replica: "Giorgio dice, e di questo provo dispiacere: 'ho bisogno del Partito, ma ricordate che io posso fare politica anche senza il Partito'". Io voglio chiudere così come nella relazione introduttiva al Congresso: "So che non c'è da scommettere sul futuro del Partito Repubblicano, ma so anche, Giorgio, che non c'è altro cui io possa pensare, se non al Partito Repubblicano Italiano". In seguito Giorgio La Malfa capì che anche lui aveva bisogno del Partito. Contribuì, infatti, alla stesura della mozione finale, che fu votata unanimemente, ed esattamente un anno dopo chiese ed ottenne di essere candidato nel PDL in rappresentanza del PRI, per come poi decise la Direzione Nazionale. La mozione conclusiva ribadiva tra l'altro: "Il 45° Congresso del PRI ribadisce l'autonoma presenza del Partito nello schieramento politico italiano, un'autonoma presenza che affonda le sue radici nella peculiare storia del movimento repubblicano, che non può identificarsi in nessuno dei contraddittori schieramenti che caratterizzano l'improvvisato bipolarismo italiano. Il Congresso peraltro afferma che non esistono le condizioni per abbandonare la collocazione politica di opposizione (al Governo Prodi n.d.r.) rispetto ad un Governo inadeguato, pur ribadendo la tradizionale posizione del PRI che su singoli provvedimenti si riserva un'autonoma valutazione sulla base delle proprie impostazioni programmatiche e dell'interesse del Paese". Abbiamo ricordato tutto questo per far tornare la memoria a chi eventualmente, nel frattempo, l'avesse smarrita. Noi oggi con questo Congresso ci ricolleghiamo al Convegno di Milano dell'ottobre 2007 "Verso la Costituente liberal-democratica Europea. Valori liberali: quelli veri e quelli falsi". Mi ritorna alla memoria un bellissimo articolo di Giuseppe Galasso sul "Corriere della Sera" del 30 agosto 2009. L'indiscussa autorevolezza del pensiero di Galasso mi aiuta a meglio identificare nell'attuale panorama politico italiano quello che vuol significare il termine liberal-democratico. Termine sul quale ritorneremo spesso in seguito. Galasso infatti sosteneva: "La doppia componente del PD indicata nel Socialismo e nel Popolarismo cattolico esclude, infatti, da ogni autonoma e specifica considerazione elementi del massimo rilievo nella storia e nel pensiero della Democrazia Italiana. Ci riferiamo all'elemento liberal-democratico, repubblicano, di democrazia moderna, 'laica' si diceva una volta, che nella storia d'Italia ha contato tanto, e in quella della Repubblica ancora di più". La forza di questo ragionamento assume maggiore vigore quando Galasso afferma di aver votato e di votare PD, e conclude così: "Capisco che un terzo incomodo dà sempre fastidio. Ma nel regno della politica (Bersani lo saprà) gli incomodi possono essere essenziali, imprescindibili, preziosi. La tradizione laica, moderna, occidentalista della democrazia italiana lo è. Ignorarla è peggio che regalarla agli altri (se essa potesse mai essere oggetto di regali)". Con questa citazione ho inteso indicare la traccia del genoma dei repubblicani, e del repubblicanesimo storico. Una storia che appartiene a tanti uomini senza tessere dell'Edera e forse appartiene meno a tanti, per fortuna non molti, che invece la tessera repubblicana ce l'hanno in tasca. La democrazia laica si è frammentata in molti rivoli. Forse perché l'essere laico presuppone un continuo confronto con le idee altrui, che mai e poi mai possono partire dall'assunto di imporre le proprie. Non sarebbe laico e tantomeno repubblicano. E' bene chiarirci subito che il nostro progetto non è di soluzione facile né tantomeno immediata. Tuttavia noi siamo gli eredi della scuola mazziniana e nulla ci può far paura, nemmeno l'egoismo di qualcuno che può solo far ritardare i nostri obiettivi, ma sicuramente non potrà vanificarli. Noi non "spegniamo i lumini a Mazzini" come diceva Ugo La Malfa, in un'intervista a Pasquale Bandiera, allora direttore de "La Voce Repubblicana", ma tendiamo, come lo stesso La Malfa, ad una reinterpretazione moderna del pensiero mazziniano. Dovremo parlare a quelle classi giovanili che per la maggior parte non conoscono Mazzini, ma che hanno molto a cuore il loro futuro. Ed è del futuro che noi vogliamo parlare, senza mai dimenticare da dove veniamo. Categorie Le semplici categorie del liberismo servono a poco o a nulla. Peraltro l'attuale classe dirigente del Paese, oltre che parlarne, non fa nulla per attuarlo. Spieghiamo dunque perché parlare di liberal-democrazia e non di liberalismo. La storia ci porta molto indietro, ma ci aiuta a capire e ad attualizzare i pensatori dell'800. Bisogna trovare la via di mezzo tra il liberalismo utilitaristico di Bentham, Edgeworth e Sidgwick e la social democrazia predicata da Marx ed Engels, poi sfociata nel comunismo di trista memoria. Mazzini fu contrario e con la stessa forza si contrappose all'una e all'altra di queste teorie. Come dice Rawls: "Una visione politica è una visione sulla giustizia politica e sul bene comune, e su quali istituzioni e politiche siano più atte a promuoverli. I cittadini devono in qualche modo acquisire e comprendere queste idee se devono essere capaci di formare dei giudizi sui diritti e sulle libertà fondamentali". Se ciò è vero, e per noi è vero, qual è la situazione italiana? Secondo noi, saremo pure obsoleti, per creare le condizioni affinché i cittadini possano essere liberi nelle loro scelte, l'esistenza dei partiti è necessaria. Se non esistono i partiti, non esiste una classe politica degna di questo nome. E' il vero dramma della Seconda Repubblica (se mai è esistita). Un vero politico deve agire all'insegna di un programma politico e sociale di natura democratica. E tutto ciò è ben definito nell'art. 49 della nostra Costituzione, ormai dai più messo in soffitta. I partiti, come le aggregazioni, seppure dal punto di vista politico possono essere creati dall'oggi al domani, hanno vita breve, molto breve. I partiti Come scrive l'amico Del Pennino nella sua tesi sulle riforme istituzionali: "I problemi di una corretta definizione del ruolo del partito nel nostro ordinamento, delle garanzie da dare agli associati per quanto riguarda la democrazia interna, della trasparenza delle risorse finanziarie di cui i partiti stessi dispongono nascono da lontano. Ma non hanno trovato risposta da parte del legislatore. Il più organico disegno di regolamentazione dei partiti, dei loro bilanci e delle forme di finanziamento è stato presentato per conto del PRI dal sen. Del Pennino nel corso della 14a legislatura, insieme al sen. Compagna, ma ha incontrato l'indifferenza, se non l'ostilità, delle maggiori forze politiche. Il PRI ritiene che oggi sia necessario riprendere il discorso sulla regolamentazione giuridica dei partiti". Nei prossimi giorni sarà mia cura ripresentare alla Camera dei Deputati lo stesso Disegno di Legge. Sommatoria Fummo facili profeti a sostenere che il Governo Prodi non sarebbe durato più di due anni, come lo fummo sul PDL quando affermammo che la convivenza di una sommatoria di partiti con storie, tradizioni e interessi diversi si sarebbe sfasciata nel giro di qualche mese. In Italia abbiamo a tutt'oggi formazioni politiche che si richiamano al comunismo. Altre forze non hanno proceduto ad un revisionismo per modernizzare quelle che erano le loro origini, dalle impostazioni culturali spesso sbagliate. Cattolici osservanti dei dettami del Vaticano, più rigorosi verso i problemi del sociale che non verso quelli della libertà e delle responsabilità singole e collettive. Di fronte al concetto che la maggioranza elettorale, quale che sia il suo connotato, sia la precondizione politica per non tenere in alcun conto l'individuo, i repubblicani hanno il dovere di ribellarsi. La ribellione fine a se stessa è utile o deleteria? E' questo il problema che ci troviamo davanti. Bruno Visentini diceva che prima di affrontare una guerra bisogna sapere di quanti soldi e di quanti soldati si dispone. Se si ignora questo, si va verso la tragedia politica, che non sarà mortale ma quasi. Non c'è alcuna differenza tra destra e sinistra, perché questa legge elettorale per il nostro Paese è frutto di un accordo vergognoso tra Berlusconi e Veltroni, e ancor più vergognoso è l'accordo per lo sbarramento, alle consultazioni elettorali per l'elezione del Parlamento Europeo. Al riguardo c'è stata la benedizione dell'UDC: mancava solo l'aspersorio. In un articolo su "Formiche", Stefano Folli, con la consueta lucidità, magnifica le doti tattiche e televisive di Pierferdinando Casini, ma con altrettanta chiarezza indica la mancanza di una strategia politica da parte dell'UDC. Questo partito nelle recenti elezioni regionali ha adottato una politica a geometria variabile, probabilmente utile al momento, ma che potrebbe anche portarlo verso amare delusioni, se in caso di elezioni politiche si dovesse aggregare con la sinistra di Vendola e Bersani. Lo stesso discorso, a mio parere, vale per il nascituro partito del Presidente Fini. Tutto è magmatico. A quanti mi dicono che in politica oggi è già ieri mi è facile rispondere che, se nel 2006 li avessi ascoltati, oggi non esisterebbe più una rappresentanza del PRI nelle Istituzioni nazionali. Il Congresso, nella sua piena autonomia, può anche decidere di rinunziare a rappresentanze parlamentari, ma qui vale il discorso che mi ha fatto Casini: "Più che un partito sei un simulacro di partito. Tuttavia il Pri è rimasto l'unico partito laico nello scenario politico italiano". Tesi Il Congresso a tesi voluto dalla Direzione Nazionale: credo sia la prima volta in assoluto nella storia del Partito che si adotta questo metodo. Serve anche per fare intendere ai nostri interlocutori - a destra come a sinistra - che a noi interessa affrontare i problemi che l'Italia si trova di fronte piuttosto che il bla-bla del politichese, all'interno del quale va bene tutto e il contrario di tutto. Colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro, repubblicani e non, che hanno voluto collaborare alla stesura delle tesi. L'amico Riccardo Gallo si è assunto l'oneroso compito di coordinare il lavoro dei singoli amici, alcuni dei quali non sono neanche iscritti al PRI, e di ciò siamo loro grati. Egli stesso interverrà per dare senso al lavoro dei singoli, i cui ragionamenti spesso si intersecano felicemente, pur affrontando problemi singolari e puntuali su temi specifici. Non farò torto a nessuno, ma voglio esprimere soddisfazione per avere scelto questa soluzione approvata all'unanimità dalla Direzione Nazionale. Il leaderismo, quale che sia il valore del leader di riferimento, non riuscirà quasi mai, se viene esercitato secondo schemi personalistici, a tradurre in realtà i programmi enunciati. Questi infatti verranno condizionati dalle fratture, che saranno inevitabili a fronte di una evidente personalizzazione del modus operandi del leader in questione. La piena realizzazione di un programma politico, da quello che attiene alla vita di una partito a quello che è diretto al governo di un Paese, si otterrà soltanto perseguendo una visione di strategia complessiva e realizzata in tutte le sue componenti. La sommatoria di singoli interventi, quand'anche positivi, non potrà mai essere la strategia vincente. Con il risultato che i conservatori potranno essere scambiati per progressisti e viceversa, a seconda del periodo in cui si sta al governo. Oggi l'opposizione - se escludiamo l'UDC - è sempre pronta ad alzare barricate, trincerandosi quasi sempre su un anti-berlusconismo che non ha più senso di sussistere. Sarebbe più utile per il Paese e per la politica in generale contrapporre ragionamenti a ragionamenti, soluzioni a soluzioni e fare battaglie su questi argomenti. Come rivelava Benedetto Croce, un governo di onesti ma incapaci non serve al Paese. A scanso di equivoci ciò non significa che un governo è buono anche se composto da malfattori. Per lo stesso motivo, dopo quello che leggiamo sui fondi neri gestiti dallo IOR, i cattolici dovrebbero criticare il Vaticano lasciando la difesa di quest'ultimo ai tanti clericali, ahinoi ancora in giro per l'Italia. Principio Un principio fondante del nostro essere partito così recita: "Tutti gli iscritti sono tenuti a uniformarsi alle decisioni democratiche assunte dagli organi di partito". Purtroppo, nella fase attuale, risulta evidente che non si tratta proprio di tutti. Il Paese a torto o a ragione ha scelto il bipolarismo. Secondo noi a torto, e pur tuttavia sono questi i sentimenti della maggior parte degli elettori. Come tutti sappiamo, i primi ad essere danneggiati da questa realtà sono i partiti minori. Ma se, no-nostante la realtà a loro contraria, questi, anche se solo sul territorio, svolgessero un'azione costante e coerente, non esitando a tornare all'antico operare della comunicazione diretta con i cittadini, si otterrebbe ancora qualche positivo risultato. D'altra parte, come non ricordare il totale fallimento del terzo polo nel 1994, di cui fu promotore il PRI? Nessun risultato elettorale, lo sfascio del Partito e l'inizio di un bipolarismo di cui in seguito facemmo parte, avendo ricoperto prestigiosissimi incarichi politici. Ed ora gli stessi sarebbero alla ricerca della terza forza. Questo per rompere con un bipolarismo inesistente e che è cosa ben diversa dal bipartitismo. E tutto ciò dopo che al congresso di Carrara (quello dell'"AURORA" di Ayala) si era detto: "Il nostro appello va rivolto ai verdi, alle leghe, al PDS, per sapere da loro se essi si sentono di assumere le responsabilità di un progetto di risollevamento del Paese". Due anni e nel 1994 abbiamo capovolto quest'impostazione. Sempre in quel congresso, nella relazione dell'allora segretario si legge: "Mi sono convinto che si debba andare ad un'investitura diretta del Capo dell'Esecutivo. Ma su questo punto è necessario che si pronuncino tutti". Senza saperlo eravamo berlusconiani ante litteram. Il congresso del 1995 era titolato: "L'Edera ha il dovere di preservare la sua autonomia politica e la sua identità". D'accordo, molto d'accordo, se alle parole fossero seguiti i fatti. Come diceva Ugo La Malfa, se alle parole non seguono i fatti si tratta solo di chiacchiere. E ora vorremmo ripetere l'esperienza del terzo polo di cui dovrebbe far parte Fini (vedi "Voce" del 14/15 febbraio 1994), una parte clericale dell'UDC e Francesco Rutelli con la sua API? Tutto ciò è possibile solo se si pensa ad un'aggregazione politicamente laica i cui aspetti fondamentali siano condivisi. Come abbiamo già detto, la politica italiana cambia alla velocità del suono. Tuttavia le forze politiche che hanno fatto l'Italia hanno il dovere di sapere che, se pur da posizioni di estrema minoranza, hanno resistito con la forza di un'idea, che ha fatto da guida a tutti i comportamenti politici per quasi due secoli. Il procedere a zig-zag non è nel dna dei repubblicani. Essi si possono ritrovare in una elaborazione politica collettiva, che solo così può essere duratura. Terzo polo? Noi dovremmo contribuire a realizzare un terzo polo. A che fine? Per salvare l'Italia o noi stessi? E come concilieremmo le tesi di Del Pennino sui diritti civili con i colleghi dell'UDC e dello stesso Rutelli? E cosa sarebbe meglio utilizzare: risorse finanziarie per la ricerca scientifica o abbassare le tasse per il quoziente familiare, utilizzando questo grimaldello al fine di incentivare le nascite? E nella competitività utilizzeremmo le idee di Futuro e Libertà, che accusa Marchionne di essere canadese, quindi carente d'amor patrio nel voler esportare le fabbriche della FIAT all'estero? Come osserva Collura: "Il rischio concreto, pertanto, è che le imprese risolvano i loro problemi di efficienza e competitività scaricando sui contribuenti nazionali i costi sociali conseguenti al processo di ristrutturazione, senza farli partecipi dei benefici economici conseguenti. In sostanza la crescita economica di un Paese estero, che usufruisce della delocalizzazione operata in Italia, viene finanziata dal nostro sistema economico e fiscale. E' questo un ulteriore significativo effetto della perdita di competitività di un Paese". E sulla politica estera una aggregazione tanto eterogenea troverebbe un agire comune e veramente condiviso? Forse sì, se accettassimo le indicazioni del Vaticano e le osservazioni del Sinodo dei Vescovi. E sul riciclaggio operato dallo IOR troveremo una posizione comune di condanna con Buttiglione e Rutelli? Infine il PRI. Si dovrà sciogliere in questo terzo polo che dovrebbe chiamarsi Partito della Nazione, oppure si potrà federare? A quest'ultima domanda non mi è stata data risposta. Quando l'avremo, se mai l'avremo, valuteremo la situazione. Soluzioni Mentre ci interroghiamo sui problemi testé posti non possiamo dimenticarci di cercare soluzioni. Le soluzioni non sono e non possono essere onnicomprensive. Solo chi è imbevuto fortemente di ideologie può pensare che sulla base del proprio sentire e sull'obiettivo ideologico che ci si prefigge si possa essere in grado di trovare soluzioni che soddisfino tutto il corpo sociale. Ciò vale anche per ciò che attiene alla professione di una fede, che può essere negata o parimenti diventare l'asse portante di tutto l'assetto civile. Noi non siamo alla ricerca di soluzioni onnicomprensive, piuttosto cerchiamo di affrontare nel loro specifico quei problemi che, a nostro avviso, sono i problemi del Paese, per ricondurli a un obiettivo politico comune. Ed è sul riconoscimento e sull'accettazione di questo obiettivo comune, di cui oggi proponiamo la ricerca e diamo indicazioni, al fine di perseguire nuove alleanze. Non ci interessano i cartelli elettorali, pur essendo ben consci che con l'attuale sistema elettorale non abbiamo speranza di alcuna rappresentanza istituzionale. Oggi tutti si dichiarano riformisti o anche liberal-democratici, ma come abbiamo evidenziato in precedenza molti confondono il liberale con il liberaldemocratico (senza trattino). Come osserva il premio Nobel per l'economia Amartya Sen nel suo breve saggio "La libertà individuale come impegno sociale": "Una piena considerazione della libertà individuale deve andare al di là delle capacità riferite alla vita privata, e deve prestare attenzione ad altri obiettivi della persona, quali certi fini sociali non direttamente collegati con la vita dell'individuo; aumentare la capacità umana deve costituire una parte importante della promozione della libertà individuale". E' appunto sulla base di questo assunto che si può combinare la libertà individuale con la libertà sociale, trovando sbocchi nella liberaldemocrazia. Dobbiamo liberarci della tentazione nostalgica, se vogliamo costruire uno Stato Laico. Forse non ci riusciremo mai, come scrisse Panebianco ne "Il prezzo della libertà": "La nostalgia per quella comunità ecclesiale che un tempo ricomprendeva in sé la politica e le imponeva in modo ferreo le proprie regole. E' questo, al fondo, il problema italiano, che sopravvive, sempre uguale a se stesso, ai cambiamenti di regime, che ha impedito ieri agli italiani di identificarsi fino in fondo nello Stato liberale e oggi in quello liberaldemocratico e che spiega il nostro sempre precario e approssimativo modo di stare, come direbbero i filosofi nella 'modernità'". Stato laico I repubblicani vogliono, con questo Congresso, esperire almeno un tentativo per la creazione di uno Stato laico e per stare nella modernità, senza nostalgia alcuna, ma sapendo bene da dove veniamo. Come si dice: "Ti puoi dimenticare del tuo passato ma il tuo passato non si dimenticherà mai di te". In ogni caso. E' per dare un impulso alla modernità o forse meglio ancora dalla modernizzazione, che stiamo tentando di svolgere un Congresso in modo certamente non tradizionale. Il Congresso a tesi che, ripetiamo, è stato proposto e accettato unanimemente dalla Direzione Nazionale, ha lo scopo di affrontare i problemi del nostro Paese cercando di proporre soluzioni ai problemi che abbiamo ritenuto più significativi. E ciò senza alcuna pretesa, per l'appunto, di soluzioni onnicomprensive. Nell'affrontare questi problemi abbiamo spaziato dai Diritti Civili, alle Riforme Istituzionali, alle Questioni Internazionali, dall'Economia ai Problemi del Mezzogiorno, alla Competitività Economica, alla Riforma sulla Giustizia, al Rinnovamento e all'Esigenza di partire dal Territorio, alla Riforma delle Professioni, alla Ricerca e all'Innovazione, al Diritto alla Sicurezza sul Lavoro. Di tutto questo parleremo al Congresso e sarà mia cura approfondire nella relazione congressuale due temi che mi stanno particolarmente a cuore: 1-Il problema del Mezzogiorno, di cui parlava già Mazzini nel periodo risorgimentale puntando il dito sulla povertà sociale di quei territori. Una battaglia oserei dire tutta repubblicana portata in seguito avanti con Giovanni Conti, Ugo La Malfa, Michele Cifarelli, Francesco Compagna ecc, ma che ha ottenuto anche il pieno e convinto appoggio della Democrazia Cristiana con il suo leader Alcide De Gasperi. "Quale è la ricaduta complessiva di queste osservazioni? In un Paese dualista come il nostro non può esistere una politica economica dalle caratteristiche univoche. A realtà diverse devono corrispondere politiche diverse. Se nel Nord è sufficiente liberalizzare il mercato, sciogliendo i vincoli del cosiddetto 'socialismo municipale'; nel Mezzogiorno il mercato deve essere ancora creato. Ed affinchè questo si realizzi è necessario un intervento prevalente dello Stato centrale. E lo Stato che deve realizzare le precondizioni del successivo possibile decollo. E' un antico problema che si è più volte affacciato nella storia. Quando l'Inghilterra, con il suo liberismo, dominava l'Occidente, la Francia continuava con le sue pratiche colbertiste, la Germania con una forte regia centralista. L'Italia ha visto prevalere, nel tempo, l'una o l'altra concezione. Ma in un orizzonte che è rimasto sempre circoscritto - se si esclude la prima esperienza della Cassa per il Mezzogiorno - al vecchio Triangolo industriale." (Polillo) 2-Il ruolo delle banche, che spesso svolgono le loro attività in modo vergognosamente avido, arricchendo spropositatamente i propri amministratori e dirigenti e affamando le piccole e medie imprese che chiedono un prestito, o peggio ancora chi chiede e non ottiene un mutuo, malgrado le garanzie reali. E ciò con un gioco indegno di cartolarizzazione dei debiti presuntamente non esigibili. Europa Questi sono i problemi. Da buoni repubblicani ci poniamo obiettivi certamente più grandi di noi, malgrado rappresentiamo una piccolissima forza politica. L'obiettivo che vorremmo fosse condiviso da tutta la classe politica italiana - destra, sinistra, centro, cattolici, musulmani, ebrei - consiste nell'ambiziosa idea della costruzione dell'Europa. Non un'Europa delle banche e degli imprenditori, non un'Europa degli aiuti agli stati più bisognosi: vorremmo un'Europa politica con un Governo europeo eletto da un Parlamento Europeo che abbia una sola legge elettorale per tutti i Paesi dell'unione. Il ruolo della politica, così appannato nel corso degli ultimi anni, deve quindi riprendere slancio e forza. Ma questa esigenza si scontra con una condizione che, a un osservatore equilibrato, non può che apparire estremamente negativa: la sempre più debole caratura delle forze politiche europee. Non esistono, in concreto, partiti politici europei, ma mere aggregazioni di partiti nazionali, percorse da molte contraddizioni, che si richiamano in modo rituale a tradizioni politico - culturali dalle quali, di fatto, risultano sempre più distanti. E' una considerazione che si può fare per i membri del PPE e, pur in termini oggettivamente diversi, anche per lo schieramento democratico-socialista e quello liberaldemocratico. Con il risultato, paradossale ma non troppo, che le uniche forze politiche che hanno avuto carattere di novità in Europa e che hanno guadagnato consensi elettorali sono proprio quelle che non vogliono l'Europa. I repubblicani pensavano all'Europa federale fin dal 1834 e cominciarono a realizzarla nel 1957. Ricordiamo ciò che disse Gaetano Martino, Ministro degli Esteri, mentre firmava i Trattati di Roma: "In questa sala aleggia lo spirito dei costruttori dell'Europa: Alcide De Gasperi e Carlo Sforza". Una battaglia che continuò con Michele Cifarelli e con Ugo La Malfa, il quale nel 1976 fu tra i fondatori dell'ELDR malgrado la sua ben nota antipatia per i liberali dell'epoca. Non dimentichiamo la sua battaglia per lo SME che possiamo considerare propedeutica all'Euro. Tutte queste iniziative dobbiamo, però, considerarle tasselli per la costruzione di quell'Europa politica tanto agognata e che tarda ad essere realizzata per l'egoismo dei singoli Stati. Non ci sarà Europa politica fin quando non abbatteremo queste barriere e fin quando qualcuno pretenderà di fare da Stato-guida per l'Europa. Giova ripetere quello che sosteneva il Piano Pandolfi "per rimanere legati all'Europa", piano fortemente sostenuto da Ugo La Malfa: "Un nuovo corso della nostra economia, e quindi della nostra società, viene proposto anche come una scelta per l'Europa […]. L'area comunitaria si avvia ad una più stretta disciplina monetaria […]. Il cammino è difficile ma si è ormai oltre il punto di non ritorno. L'Italia non può dissociarsi da questo sforzo. Tutto, tradizione culturale, sentimento popolare, orientamento politico, ci porta verso l'Europa". Come scrive Santoro nella tesi da lui coordinata: "Ma i problemi veri dell'Europa sono di carattere politico. L' introduzione dell'euro andava accompagnata da un rafforzamento del governo economico europeo per superare la ‘zoppia’ di cui si parlò sin dalla nascita dell'Unione economica e monetaria. Una moneta unica che non abbia alle spalle il governo comune dell'economia, o comunque un forte coordinamento delle politiche nazionali, rischia sui mercati internazionali. Progressi sono stati compiuti in questo senso sia grazie al Trattato di Lisbona sia grazie a quella ‘costituzione materiale’ che i responsabili dell'Eurozona stanno approntando. Ma restiamo lontano dall'auspicato governo comune dell'economia e comunque l'azione anti-crisi resta improntata al giusto contenimento dei deficit (e dei di-savanzi) e declina poco o per nulla la voce sviluppo, la sola che può assorbire l'enorme tasso di disoccupazione. Europa 2020 è il nuovo orizzonte lanciato dalla Commissione. Speriamo che abbia destino migliore dell'Agenda di Lisbona. Il rapporto Monti offre proposte e spunti che andrebbero raccolti". Cari amici repubblicani, ricominciamo da qui. Laico di sinistra Mi avvio alla conclusione. Un carissimo amico personale con una esperienza politica che parte dalla FGCI e attraversa il '68, il PCI, ecc, mi ha domandato come mai mi sono alleato con Berlusconi. La mia risposta è stata: "Lo posso fare perché sono un laico di sinistra mentre tu pensi ancora comunista". Risposta: "Forse hai ragione". Ed ecco che mi viene in mente "il Partito della Democrazia" di Giovanni Spadolini: "Per una forza di sinistra democratica e razionale, capace di imprimere certi impulsi al sistema capitalistico e di alimentare il processo di sviluppo e di ripresa della società italiana, c'è ancora spazio in Italia; anzi mai come oggi ce n'è bisogno. Non fosse altro per sconfiggere gli avversari - il parassitismo, il corporativismo, le ingiustizie e gli sprechi settoriali e pseudo sociali - che i 'vincitori' non sono riusciti ancora a battere". Sarà questa la nostra stella polare per gli anni a venire: coniugare l'esperienza liberale con l'esperienza delle socialdemocrazie nord-europee. Far nascere e sviluppare il partito liberaldemocratico. Sulle condizioni del Partito e sulla grave situazione amministrativa terrò una relazione a parte a conclusione del giorno di apertura del Congresso. Ecco cari amici: ho posto alla vostra attenzione un groviglio di nodi politici che il Congresso nella sua piena autonomia dovrà sciogliere. Mi affido alla vostra sensibilità e all'amore secolare che portiamo nei confronti dell'Edera. Siamo, pur nella nostra esiguità numerica, un fiume carsico che scompare e ricompare. L'Italia ha bisogno delle nostre idee, non deludiamola. P.S.: La relazione sarà integrata ed ampliata anche sulla base degli avvenimenti che si succederanno nel lasso di tempo che precede la celebrazione del Congresso. |